INFORMATICA... CHE ENIGMA!

"L'informatica non riguarda i computer piu' di quanto l'astronomia riguardi i telescopi."
(Edsger Wybe Dijkstra)

"L’altra faccia della luna"

Replica al post di Giancarlo Visitilli "#insegnareadistanza"
Caro prof,
sono un collega e pertanto mi permetto di darti del tu.
Mi svelo in partenza: ci accomunano la terra in cui viviamo, De André, don Milani… ci separano i linguaggi e le discipline che insegniamo: essendo tu un giovane scrittore, non puoi che essere un brillante docente di lettere; io cerco di fare del mio meglio con l’informatica e con i linguaggi di programmazione in una scuola di Molfetta dove proprio pochi giorni fa ha avuto luogo la presentazione del libro “La pelle in cui abito” di cui sei coautore.
Da sempre mi prodigo per una contaminazione tra gli ambiti disciplinari umanistici e scientifici che, ahimè, continuano ad essere tra loro distanti, ed incoraggio i miei studenti a scoprire il valore e soprattutto il piacere di leggere romanzi oltre ai manuali tecnico-scientifici.

Non ho l’abitudine di frequentare i social network ma ho letto il tuo intervento citato nel titolo e pubblicato nel tuo spazio facebook, e le tue considerazioni critiche sui nuovi metodi di formazione “a distanza” (definizione infelice: concordo) che un po’ ironizzano su questi ultimi, un po’ idealizzano l’insegnamento “in presenza”: in sostanza sostieni l’impossibilità di insegnare rimanendo ciascuno a casa propria, e ritenendo tali tentativi, per definizione stessa - Insegnamento a distanza - un ossimoro.

Non ti nascondo che ho avuto la tentazione di citare alcune tue domande per farne un po’ il verso, senza acredine, immaginando situazioni opposte in cui i nostri studenti ironizzano su di noi, ma rinuncio in partenza, prima di tutto perché per me non sarebbe facile pareggiare la tua stessa ironia, in seconda ragione perché non sarebbe corretto da parte mia estrapolare solo qualche verso del tuo intervento, che riporto in coda all'articolo e preferirei che tutti leggessero integralmente.

E’ proprio vero: “insegnare a distanza” è un ossimoro, solo che la distanza tra un insegnante ed i suoi studenti, sono certo che condividerai, non si misura tanto con i multipli del metro, né con gli strumenti che si utilizzano per insegnare.
Si misura piuttosto con le cifre della sfiducia nei propri allievi, del distacco, della noncuranza, del pregiudizio nei loro e nei nostri confronti.
E allora ci può essere molta distanza tra noi e loro, pur rimanendo nella stessa aula, se non c’è rispetto, fiducia, empatia, comprensione e cura: la vicinanza fisica non garantisce sic et simpliciter queste prerogative, e noi insegnanti, ad essere onesti, lo sappiamo bene.

Restando ciascuno a casa propria, hai ragione, si rinuncia inevitabilmente alle numerose forme di comunicazione non verbale che sono da sempre parte integrante del nostro mestiere, ma se si ha la voglia di sperimentare e condividere con i ragazzi un percorso nuovo, difficile, imprevedibile, pieno di insidie, ostacoli e (perché no?) figuracce per noi adulti non nativi digitali come loro, si offre loro la percezione di non essere stati "scaricati", abbandonati per due settimane o due mesi (chi può dirlo?).
Al contrario, si dimostra di avere noi stessi bisogno di loro esattamente come riteniamo che loro abbiano bisogno di noi: ecco perché ci può essere molta più vicinanza di quanto non sembri nell’insegnare “in rete”, “online”, “connessi” e non “a distanza”.

E così si scoprono nuove cifre comunicative, inimmaginabili fino a ieri, e preziose opportunità sia per gli studenti che scoprono di dover essere loro talvolta a “prendersi cura” di noi (come spesso è accaduto, per esempio con il registro elettronico), sia per noi educatori che mostriamo loro il coraggio di metterci in gioco fino in fondo, il che equivale esattamente all’insegnamento più prezioso che un educatore può offrire ai suoi discenti.

Già nell’antica Grecia, quando il sapere era tramandato oralmente, la lenta adozione dello strumento della scrittura fu oggetto di accese controversie. Successivamente Platone, nell’opera “Fedro” del 370 a.c., quando la divinità egizia Theuth propose al re Thamus l'arte della scrittura, fa rispondere a quest’ultimo:

"[la scoperta della scrittura] avrà per effetto di produrre [non memoria, come sostieni tu, ma] dimenticanza nella mente di coloro che l’impareranno,
perché, fidandosi di quanto è scritto, si abitueranno a richiamare le cose alla mente non più all’interno di se stessi, ma dal di fuori mediante segni estranei:
dunque tu hai trovato sì la medicina, non però della memoria, ma del richiamo alla memoria.
Ai tuoi discepoli tu offri una credenza di sapienza (δόξαν σοφίας), non una sapienza autentica (αλήθειαν):
infatti, essi, divenendo grazie a te uditori di molte cose (πολυήκοοι) senza insegnamento,
si crederanno conoscitori di molte cose, mentre perlopiù di fatto non le sapranno,
e sarà difficile discorrere con loro, perché sono diventati portatori di “si dice”, invece che sapienti"


Con il senno di poi, è bizzarro notare che lo stesso Platone, nonostante il giudizio negativo espresso sulla scrittura, abbia sempre utilizzato la forma scritta, contrariamente all'antico maestro Socrate, per veicolare le sue tesi filosofiche.
L’allora contestato strumento della scrittura non ha prodotto dimenticanza, apparenza, opinioni ma al contrario ha permesso di tramandare nelle generazioni verità, cultura, storia, musica e tanto altro a beneficio dell’umanità.

L’invito che ti rivolgo, dunque, è di non stigmatizzare in partenza i nuovi strumenti a cui il Coronavirus ci costringe, ma di sperimentarli come nuove opportunità per crescere insieme ai nostri studenti.
Il rischio che si corre, stando anche ad alcune contestazioni già espresse da parte di organizzazioni sindacali, è di prestare il fianco a chi condanna a priori qualunque utilizzo di videoconferenze in ambito scolastico e parla con una certa dose di indignazione di “obblighi di lavoro non previsti dalla normativa vigente”.

Gli strumenti sono neutri, dall’energia nucleare ai tanto disprezzati algoritmi (c.f.r. “Breve e universale storia degli algoritmi”): possono essere pensati ed usati per salvare vite umane quanto per sterminarle.
Non dobbiamo giudicarli funesti per definizione, solo perché qualcuno può (e vuole) usarli per scopi negativi, fraudolenti o nefasti.

Abbiamo al contrario sempre più bisogno di conoscerli per evitare che questo accada o limitarlo.
Abbiamo sempre più bisogno di contaminarci, non di virus naturalmente, ma di idee, conoscenze e competenze.
Se poi riusciamo a farlo tra insegnanti di discipline umanistiche e scientifiche come tra insegnanti e studenti, converrai anche tu con me che sarà un bene per tutti.
Se poi riusciamo a farlo usando strumenti gratuiti ed open source, è un valore aggiunto ed un ulteriore esempio educativo.

Concludo citando un meraviglioso film francese, che consiglio a colleghi e studenti, parafrasandone il titolo profetico: il professore cambia (la) scuola.

Spero di ritrovarti prossimamente in una lezione online: se fosse condivisa in rete, non vorrei proprio perdermela! ;-)

7 marzo 2020                                                                                                          Mario Quarto
                                                                                                                         (Insegnante, Informatico)

 


@moodle @bigbluebutton @openmeeting @jitsinews



#insegnareadistanza (Giancarlo Visitilli)


“Insegnare” e “distanza” sono un ossimoro!
Come fai a insegnare, senza che possa gridare oh, abbassate il tono della voce, non riesco manco a fare l’appello!
Come fai a insegnare, senza che ti incazzi, mentre stai facendo l’appello e senti bussare il solito studente che arriva in ritardo perché ti dice che sua nonna aveva la visita dall’ostetrico?
Come fai a insegnare, senza aver visto in faccia quelli che sanno essere il loro turno d’interrogazione e fanno finta di non guardarti, come fossi tu prof un appestato dal Coronavirus?
Come fai a insegnare, senza che ti possa alzare dopo il primo quarto d’ora di lezione e aprire la finestra, perché l’aria è già stantia e dirgli il solito ritornello, dalla scuola elementare, oh, l’acqua e il sapone li pagano i vostri genitori!
Come fai a insegnare, se non riesci a mantenere il tuo volto serioso, anche quando scoppi a ridere dentro, e tutti gli stronzi in classe si son messi d’accordo per farti mille domande sulla diffusione del Coronavirus, perché non apra mai il registro per le interrogazioni?
Come fai a insegnare, se non annusi l’odore di frittura del giorno prima, che lo studente si porta da casa (altro che Coronavirus!), fra capelli, cappelli e giubbotto?
Come fai a insegnare, senza che non abbia sentito in classe la sveglia del cellulare di qualcuno che stranamente si è svegliato prima della prima ora di lezione?
Come fai a insegnare, senza dire all’ultimo in fondo al banco di alzare la testa da sopra al banco, nonostante io sappia che si è ritirato alle tre di mattina perché lavorava?
Come fai a insegnare, senza la loro radiografia mattutina, che ti fa capire se per loro sei vestito ok o sarebbe stato meglio calzare altri calzini?
Come fai a insegnare, senza guardare e ridere per i risvoltini ai loro pantaloni e senza calze, con 3 gradi al sole?
Come fai a insegnare, senza che lo studente raffreddato e di cui tutti hanno paura tossisca o starnutisca, venga a chiedere proprio a te, prof, ha un fazzoletto?
Come fai a insegnare, senza che mentre spieghi, ti voli il solito cioppino di saliva sul banco dello studente stronzo, che guarda gli altri suoi compagni e ti fa sentire una merda?
Come fai a insegnare, senza che prima della fine dell’ora ti chiedano cinque minuti per ripetere qualcosa che ha a che fare col compito in classe dell’ora successiva (anche se tu sai che è una scusa per finire prima la lezione)?
Come fai a insegnare, senza guardarli negli occhi, spiegando Alla Sera, e sai che a quello studente qualcosa gli rugge dentro da mesi?
Come fai a insegnare, non facendo finta che quello ti sta seguendo e, invece, sta copiando i compiti di fisica dal suo compagno più bravo?
Come fai a insegnare, senza incontrare i rompicoglioni dei genitori (che ti stringono anche la mano nonostante i virus, ma ce n’è di peggiori del Corona…), quelli che vengono a rimproverarti che loro lavorano e non hanno tempo per venire neanche a dirti perché hai messo l’insufficienza a mio figlio?
Come fai a insegnare, se non ti danno i brividi quei trentadue che hai di fronte: trascorrono più tempo con te che con i loro genitori (perché loro lavorano, vanno in piscina, hanno palestra e hanno gli amanti…) e anche tu vivi più tempo con loro che con chi dovresti amare?
Come fai a insegnare, e dire le bugie a chi ogni mattina, anche se ti riconosce come uno stronzo di prof, pende dalle tue labbra?
Come fai a insegnare, se sto cazzo di Coronavirus ti costringe a farlo senza guardarsi, annusarsi, toccarsi e sentirsi?
E allora, dopo i loro continui messaggi, ieri gliel’ho proposto:
- E se ci vedessimo lo stesso, di nascosto, come gli amanti?
- Prof, e se moriamo insieme, poi, chi lo saprà e potrà scrivere di noi?
P.S. Prima di rispondere, i maschi si sono toccati le parti basse, le femmine hanno toccato ferro…
#insegnareattaccati #contagiarsi #insegnareguarisce #asquola


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